Era il 1999 o forse il 2000. La casa era sugli Appennini Toscani al confine con l’Emilia Romagna, era una villa medicea mezzo distrutta. Era stata occupata l’anno prima da una decina di “scappati di casa”, sbandati come me. E pensare che c’erano stati pure i partigiani durante la seconda guerra mondiale! Il corpo principale era del tutto scoperchiato, non c’era il tetto. La nostra dimora era un piccolo annesso ristrutturato dagli “scappati”, composto da due piani. Al pianoterra c’era una piccola cucina, nel retro c’era una stanza da letto e una scala che portava al sottotetto usato come dormitorio. C’era anche una cantina sottoposta, adibita a dispensa. Io ero arrivato lì da pochi giorni quando Luigino mi propose di andare a prendere una mucca a Pistoia (in realtà si trattava di una manza di appena nove mesi). La mucca era stata affidata agli amici di Pistoia dagli Hare Krishna di Firenze. Impossibilitati a mantenerla perché ne avevano già abbastanza in quel periodo, per quello che era il loro fabbisogno, ci avevano fatto sapere che ce la potevano affidare. L’unico veicolo di cui disponevamo era una vecchia Panda ma una mucca in una panda non ci sta nemmeno se ce la spingi a forza. Come potevamo fare? Saremmo andati in autobus mentre saremmo ritornati a piedi. C’erano circa centotrenta chilometri tra noi e la mucca, sessanta di asfalto e altri settanta di sentieri di montagna, niente asfalto, né corsie preferenziali e niente segnaletica se non qualche sentiero 00. Noi però non li conoscevamo i sentieri 00 dell’intera zona. Andammo quindi a Firenze a comprare le cartine; arrivati là scoprimmo che tali cartine sono costose e per rimediare il tanto che bastava a comprarle Luigino dovette lavorare di clarinetto per strada mentre io passavo col cappello perorando la causa della mucca. Acquistate infine ben due mappe, partimmo alla volta di Pistoia, per Cantagrillo ad essere precisi. Arrivammo a Cantagrillo nel mezzo della notte, e ci dirigemmo verso Avalon, dov’era ricoverata la mucca, battezzata come Ciuffa. Il giorno dopo, di buonora, saranno state le cinque e mezza o le sei, dopo una frugale colazione, ci preparammo per partire e, dopo aver sistemato la cavezza alla Ciuffa, iniziammo il nostro percorso.
Dovete sapere che portare a spasso una mucca per la quale siamo degli emeriti sconosciuti, non è propriamente un’impresa facile. Non è come portare a spasso un cagnolino. Intanto le mucche non possono camminare per troppo tempo sull’asfalto perché possono ferirsi alle zampe e poi hanno bisogno di mangiare spesso; in più la Ciuffa non ci conosceva e noi non conoscevamo a fondo la psicologia dei bovini. Se ci mettete che il tempo non era dei migliori, capirete che stavamo andando incontro a una vera e propria avventura. Dopo i prime tre chilometri la mucca con uno strattone prese la via della fuga tornando di corsa verso Avalon. Io e Luigino la inseguimmo fino a superarla e le barrammo il passo aprendo le braccia a croce. I bovini infatti, avendo paura di farsi male, si fermano sempre davanti agli ostacoli. Dopo cinque ore di cammino su asfalto, con qualche piccolo spuntino della bestia a bordo strada, giungemmo a Quarrata dove acquistammo due panini in una bottega alimentare. Il negoziante, vista la nostra compagna di viaggio, pensò bene di foraggiarla con gli scarti invenduti delle sue verdure. A Quarrata ci riposammo per un po’ tutti e tre quando all’improvviso arrivò la pioggia. Lieve all’inizio ma incessante. Lasciata Quarrata ci dirigemmo verso Prato sempre su strada asfaltata. Dovevamo apparire un ben strano fenomeno agli automobilisti che avevano la ventura di incrociarci. Erano diverse ore che la manza deambulava sull’asfalto. Io e Luigino convenimmo che era ora di cercare una strada non asfaltata che identificammo nelle sponde del torrente Stella, erbose e morbide. Il problema era che continuava a piovere incessantemente ma a quel punto non potevamo fermarci perché saremmo morti di freddo e stava arrivando il buio. Avvistato un vecchio su di un ponticello gli chiedemmo se c’era una casa abbandonata nei dintorni. Ce n’era una a circa un chilometro. Arrivati lì, ci accorgemmo che era purtroppo adiacente a delle case abitate e per paura che qualcuno chiamasse le forze dell’ordine suonammo al campanello di una di queste per avvisare che ci stavamo fermando a dormire per la notte e di non temere alcunché perché, a dispetto del nostro aspetto fisico, eravamo delle brave persone. Ad aprirci la porta fu un giovane ragazzo che, vista la mucca, chiamò la figlioletta che si mise a farle le feste. Nel giro di pochi minuti fummo attorniati da un’intera famiglia che, saputa la nostra storia, dopo un breve conciliabolo e del tutto spontaneamente, ci offrì ospitalità in una casa mobile consuetamente usata da loro per ospitare gli amici. Ci rifocillarono e ci offrirono degli abiti asciutti prima che noi crollassimo per la stanchezza. Il giorno dopo, al nostro risveglio, diluviava. Il capofamiglia, che di mestiere faceva il muratore e quel giorno non avrebbe potuto lavorare a causa della pioggia, si offrì di accompagnarci a casa con il suo furgone da lavoro. Provammo a dissuaderlo spiegandogli che la Ciuffa viaggiava senza documenti e, a un eventuale controllo della polizia, non avremmo potuto dimostrare di detenerla in modo legittimo. Avrebbero potuto accusarci di furto di bestiame. Lui però non ci diede retta e insistette nel volerci accompagnare. Legammo la Ciuffa sul suo furgoncino aperto e la coprimmo con un telone di plastica prima di partire alla volta dell’Appennino tosco-emiliano. Ci toccò attraversare Firenze, con la Ciuffa che muggiva dalla paura nei rumori del traffico cittadino. Io e Luigino ci facemmo piccoli piccoli impauriti più di lei alla prospettiva di un controllo. Secondo me, anche il muratore per qualche secondo almeno avrà pensato: Ma chi me lo fa fare? Dove mi sto infilando?
In poche ore arrivammo a casa, con una settimana di anticipo rispetto ai tempi previsti e lì a casa fummo accolti con entusiasmo da tutti ma chi ebbe un’accoglienza del tutto speciale fu la Ciuffa che trovò prontamente le mammelle generose della Nerina, l’altra nostra mucca che allattava in quel periodo il suo ultimo vitellino.
Siro ci aveva raccontato la storia della mucca con una bella dovizia di particolari, molti di più di quelli che sono riuscita a infilare io nel rinarrarne le gesta e ci aveva tenuto avvinghiati a lui e alla Ciuffa per un bel po’ di minuti riportandoci un po’ tutti in vita con le loro gesta eroiche. Solo di tanto in tanto il suo racconto era stato interrotto da qualche giro di grappa qua e là. Alla fine della storia però … non ne avevamo ancora abbastanza e fu del buffone della compagnia l’idea di andare a bere il bicchiere della staffa al bar del porto.
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