Mi svegliai il mattino dopo con lo sferragliare di un treno. In cucina mi si fece incontro il cane di Anna. Preparai un caffè. Fumai la mia prima sigaretta e cominciai ad aspettare che si svegliasse anche lei. Il pensiero mi corse alla sera precedente e allo strano invito di Siro: Vedere l’infinito … vedere l’infinito … Mi avrebbe chiamata davvero? Ma no, sicuramente era un invito della notte, una di quelle profferte che la mattina dopo ti fanno sorridere giusto un po’, fatta per spirito di ospitalità, niente di più. E se avesse chiamato sul serio … e potevo forse rifiutarlo un invito così poetico? Certo che no. Passavano i minuti ma Anna non si svegliava. Cominciai a pensare che forse potevo sfaccendare un po’ in cucina. Lavare i piatti? E se Anna poi non avesse gradito? In fondo non era mica casa mia. E se si fosse offesa, quasi che dietro a quel gesto si celasse un inespresso dissenso rispetto allo stato di abbandono della sua casa! Ci pensai un po’ su e poi mi risolsi di fare di testa mia. Mi ricordai di quando Bianca mi aveva accompagnato dall’obitorio a casa mia il giorno della morte di mio padre quando, avendo bisogno di una doccia, volli staccare e li lasciai tutti nel bel mezzo della veglia tornandomene a casa. Prendemmo un caffè quella mattina io e lei. Lei non parlò dell’incidente e non provò neanche a pronunciare una sola parola che mi potesse consolare, a un certo punto si alzò e disse “Lavo i piatti” ed io mi ero sentita amata, come poche volte nella vita. Fare ordine in quel momento, cominciando da qualche parte … provarci almeno. Un gesto di accudimento a squarciare un buio.
Anna si svegliò allegra e la sua allegria raddoppiò quando si avvide del nuovo assetto della sua cucina. Meno male! Ho sempre paura di ferirle in qualche modo le persone, io che l’ho imparato dalla vita che anche di troppo amore si può ferire, una strana arma quella dell’amore, davvero un’arma a doppio taglio, talvolta.
Prendemmo litri di caffè e ci stordimmo di mille chiacchiere finché le chiesi: Anna e se per caso quel Siro mi chiama, che faccio? E lei: Ci vai, no? Ed io: Come? Ci vado? Ci andiamo, vorrai dire … ma poi tu lo conosci bene questo Siro qua che si porta a spasso le mucche per la montagna? E se fosse un pazzo furioso? Tu mi lasceresti davvero andare da sola con uno che non sappiamo neanche bene chi è? E se quello mi sgozza, così … all’improvviso. E tu te la sentiresti davvero di mandare una tua ospite in giro con un pazzo così che non si sa che cosa ha in testa? Eh no, cara eh … Io sono tua ospite. Tu non mi ci mandi in giro da sola con uno così. Al più ti assumi le tue responsabilità e mi accompagni. Se proprio dobbiamo vedere l’infinito, saremo in tre a vederlo! Dovetti insistere giusto un po’ prima che lei acconsentisse. In fondo anche lei anelava all’infinito.
Siro si fece vivo e dopo qualche ora passò a prenderci per partire alla volta dell’infinito. Arrivammo infine a Recanati, graziosissima, con tutti i versi di Leopardi ad accoglierci angolo dopo angolo. Visitammo la Torre del Passero Solitario e la magnifica biblioteca di Monaldo con i suoi tanti tomi e le sudate carte. La guida ci fece appassionare con i suoi racconti coloriti e pieni di dettagli sulla vita di Giacomo bambino in questa grande casa. Io ero in preda a una delle più grandi eccitazioni della mia vita. Non mi sembrava vero di guardare dalla finestra della biblioteca verso la casa di Silvia … Davanti alla teca che conteneva il passaporto che Giacomo si era falsificato, apponendo la firma del padre sul suo salvacondotto verso la libertà, mi sembrava quasi di vederlo in quel gesto di ribellione, tutto eccitato con le gote arrossate al pensiero della vita che lo attendeva altrove ma anche spaventato al pensiero di essere scoperto da Monaldo, come poi avvenne … mentre mi figuravo nella mente questa cosa, lo sguardo mi cadde su Siro; ai margini della sala ascoltava la guida con aria rapita ma stava fermo e immobile e non si avvicinava. Timido, con le mani incrociate dietro la schiena guardava noialtri approssimarci curiosi alla teca, ma lui non si muoveva. Fermo. Immobile. Bloccato da una timidezza quasi infantile. Gli feci prima cenno con gli occhi di avvicinarsi ma lui niente. Poi usai il mio braccio destro a richiamare la sua attenzione mimandogli il gesto di avvicinarsi. Lui niente. Fermo. Poi non riuscii a resistere. Ci aveva portato lui a vedere l’infinito, mi avvicinai e lo spinsi quasi a forza a partecipare alla festa, abbandonando ogni timidezza. Gli si illuminò lo sguardo. Aveva bisogno di una spinta!
Usciti dalla casa ci inoltrammo nel parco dirigendoci sul colle dell’infinito percorrendo tutto il sentiero alberato che ivi conduce.
Io, Anna e Siro insieme verso l’infinito.
P.S. Se lo vuoi ascoltare clicca. E se puoi, vacci a dare un’occhiata prima o poi. 🙂
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