Aprile è il più crudele dei mesi: genera
Lillà dalla morta terra, mescola
Ricordo e desiderio, stimola
Le sopite radici con la pioggia primaverile.
T.S.Eliot, La Terra Desolata
La prima volta che l’ho vista in quel letto, con le gambe piccole piccole, sono scappata. Non potevo vederla in quell’assenza, era una ferita aperta quel suo sguardo vuoto. Provavo a raccontarle della nostra infanzia, le corse e i balzi dalla terrazza di casa mia a quella di casa sua, di quando avevamo fumato quella nostra prima sigaretta, di come ridevamo di quei maschiacci che si accapigliavano all’uscita della scuola. Lei sorrideva stanca, da un’assenza.
Poi un giorno mi disse: io sono morta. La guardai, sembrava avere una luce diversa negli occhi, quasi un barlume di coscienza. Provai a rassicurarla: “Non sei morta” le dissi, “E’ solo un momento di difficoltà, ma vedrai che ce la farai”.
“Sono morta l’undici aprile del 1965 e c’era mia sorella con me, mi teneva la mano”. Ebbi un sussulto, altro che barlume, stava delirando. Con dolcezza provai a dirle che no, si sbagliava, era lì con me, stavamo parlando ed eravamo nel 1990. Insistette: “Sono morta l’undici di aprile del 1965 e c’era mia sorella con me. Ora ti dico un segreto … in realtà io sono morto, c’era Francesca con me, mi ha accompagnato lei ma poi mi ha lasciato … ed è tornata indietro”. Cominciava a farmi paura, non sapevo cosa dire, lei aveva uno sguardo diverso e cominciava ad agitarsi. Poi disse: “Vuoi vedere com’ ero?”. “Dai Maria su, stai tranquilla …”. “Ti faccio vedere la foto”. E mi fece vedere una foto in bianco e nero. Nella foto un bambino, molto somigliante a Maria, e una bambina, in una piazza, tanti piccioni attorno (sul retro della foto c’era scritto con mano incerta Mario e Francesca, Pisa 1964). “Ma è tua sorella!” Dissi. “Certo” disse lei. “Io e mia sorella”. “Ma tu non eri ancora nata allora. Sei nata nel 1970”.
A queste parole, lei si incendiò, gli occhi divennero rossi dall’ira. “Che cosa dici?” Cominciò ad urlare, “vai via di qua, chi sei? Che cosa vuoi da me? Vattene via”. Maria era in piedi con le sue gambe piccole piccole e avanzava verso di me con fare minaccioso. Io ero annichilita dalla paura, paralizzata da questa violenza inaspettata. Alle urla di Maria, accorse tutta la famiglia ed io mi rifugiai nella cucina della casa, dove piansi per almeno dieci minuti prima di raccontare a Francesca quanto era successo. Seppi così di Mario, morto nel giro di pochi mesi per un linfoma nel 1965, cinque anni prima della nascita di Maria.
Francesca si fece raccontare tutto e impallidì quando le dissi che Maria sosteneva di essere morta, invero morto. Si fece assorta e disse: “io non c’ero”. La guardai allibita, ero stordita. “Quando Mario è morto io non c’ero e nessuno mi ha detto che stava morendo, lui mi voleva accanto a sé, me l’ha scritto in una lettera, non voleva andare da solo, non voleva ma io ero in Collegio a Pisa, io non c’ero”. Francesca aprì un cassetto chiuso a chiave e ne estrasse un foglietto ingiallito. La stessa grafia incerta che aveva vergato la foto aveva scritto: “Ho paura senza di te. Torna, non farmi andare da solo”.
Non mi fecero vedere Maria in quei giorni, ma io cominciavo a capire qualcosa di più, come in un gioco ad incastro, si formava un quadro.
Quando la rividi era sedata, parlava in modo lento e lo sguardo era spento. Dov’era finita la mia Maria, dove se ne era andata?
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Chi è il terzo che sempre ti cammina affianco?
Se io conto, ci siam soltanto tu ed io insieme
Ma se io guardo innanzi a me per la strada bianca
C’è sempre un altro che ti cammina a fianco
Scivolando avvolto in un bruno ammanto, incappucciato
Io non so se uomo o donna
– Ma chi è che ti sta all’altro fianco?
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T.S.Eliot, La Terra Desolata
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