Breve riflessione sui tempi verbali e la scrittura.

Pensavo all’effetto straniante che fa il passato remoto se riferito al “vicino”. Mi piace ma è un po’ come mettere “distanza”, un allontanarsi dal prossimo così ben definito, quasi un mettere un alone attorno alle cose, sfocare, uscire dalla nettezza delle cose e dare loro una dimensione più onirica. Il passato remoto, forse, è anche il tempo della nostalgia, è un bere al calice dolce-amaro del dolore del ritorno. E quanto ci ho bevuto io a quel calice! Quanto!

Per me adesso è il tempo del presente, del passato prossimo al più. Mi piace tenermele addosso le cose della vita, così nette, tanto violente talora, con tutti i loro colori, messi a fuoco bene, quasi impressi nella mia carne. Mi crocifiggo al presente, ora. E’ così.

Il passo e l’incanto

Il riconoscersi

fu semplice.

Ti corse accanto al passo

ad onda

e a tratti un po’ malcerto

una banderuola di maestrale gonfia

che a mò di balaustra

ti accompagnò alla destra.

Alla sinistra del mio, di passo,

la stessa banderuola

guardò la falda del cappello

che mi rimase accartocciata

nello zaino semiaperto

dove avevo nascosto

il nostro segno di riconoscimento

di cui non ci fu bisogno alcuno.

Ed io che non amo tanto i versi

mi dico

in questa notte dilatata

che l’avrei riconosciuto

tra mille

il passo

che t’ho osservato

per tutto il giorno.

C’è una certa piega

che il tuo piede sinistro

prende

a tratti

una piega verso il dentro

verso il tuo piede destro

e lì

ho temuto che

potessi inciampare

a momenti.

In quella piega

mi è sembrato

di intravedere

poesia.

E mi dico

in questo notturno di te

che forse in certi passi

e incanti

si nasconde

il senso

del nostro claudicante

incedere

nella fatica di questo nostro

vivere.

Ancona, 12 agosto 2017 (h. 2.30 del mattino)

P.S. Prosa lirica nella forma di (quasi)versi a scandire le pause  e il respiro del cuore notturno. Non riesco a immaginare niente di meglio che la canzone che segue come accompagnamento ai miei (quasi)versi notturni.

La Cura (del sonno)

Mentre il mondo impazza tutto attorno a me io ho iniziato la mia settimana di riposo assoluto. Me ne spettano due in tutto l’anno, una a gennaio ed una ad agosto. In quel delle Marche in queste due settimane, io dormo. Già ieri in treno mi sono fatta 5 ore su poco più di sei di sonno profondo. E poi di notte, presto, fino a stamattina … sonno. Il caldo (dis)turba un po’. All’una mi sono svegliata che il mio corpo era un tutto unico sudaticcio con le lenzuola e solo una pala sulla testa mi ha consentito di arrivare fino al mattino. Pensando di trovare un minimo di refrigerio verso le sette io e il compagno ci siamo fatti una passeggiata di un’oretta scrutando il cielo in cerca di una implausibile promessa di pioggia. C’erano due nuvolette che. però, non hanno mantenuto la flebile promessa.

Monte Conero da Cittadella

Monte Conero da Cittadella (Ancona)

Viaggio con bagaglio minimo. Non ho pietre, nè pennelli, nè matite nè alcunchè. Giusto un libro con me che intendo leggere ché mi sa che è proprio un gran libro.Palazzo YacoubianLo leggo oggi tra una pennichella e l’altra. Quest’anno, tra tutti i vari passatempo che mi sono inventata, ho trascurato la lettura. Provo a rimediare

Chiare, fresche e (quasi) dolci acque

sorgente

Sorgente

Oggi mi sono sentita ricca, anzi no, ricchissima. Mentre quasi tutta Italia cercava riparo al caldo terribile delle ultime settimane con condizionatori e ventilatori e ghiaccioli e ghiacciolini e non so cos’altro, io sono andata alla sorgente di Torre Lapillo, che qualcuno l’altra mattina definiva “reparto geriatria”. Questo è un luogo della mia “infanzia”, cambiato sì, senza perdere, tuttavia, la magia di quel tempo. Mi ci portava mia nonna, da bambina, decantandomi sicuramente le virtù miracolose di quelle acque, virtù che mi sono state confermate due o tre mattine fa. Problemi di circolazione?distorsioni?problemi di qualsivoglia tipo persino di tristezza? Lasciateveli alle spalle, semplicemente immergendovi nelle chiare, fresche e (quasi) dolci acque della sorgente dei miracoli, la panacea (una parola femminile così piena di belle “a” non potevo proprio farmela sfuggire!) di tutti i mali del mondo.

Una penna appena appena più dotata della mia, avrebbe trovato materiale e spunti di scrittura da camparci almeno un anno nel panorama umano della sorgente, una sorta di novella agorà dei nostri tempi, dove sembravamo tutti forniti di una nuova e feconda “favella”. Io e il compagno abbiamo interagito un po’ con tutti lì, con i più diversi “tipi” umani e persino con qualche animaletto, una gatta siamese che ne sapeva sicuramente almeno una più del diavolo. Temperatura media delle acque? 12 gradi centigradi di cui abbiamo goduto del tutto gratuitamente per almeno un paio d’ore.

Ora il fatto è che io sono in partenza (vado in vacanza, sempre che prima di domattina riesca a immaginarmi e di poi prepararmi un bagaglio) e non vorrei dovere rimpiangere le mie chiare, fresche e (quasi) dolci acque, appena ri-trovate nelle prossime ore. Quali sono le previsioni pei i giorni a venire??? 😉

P.S. La foto (il punto dove la sorgente d’acqua dolce incontra il mare) non è grandiosa ma state certi che ne sentirete riparlare di queste acque e qualche altra foto, anche del contesto la posteremo.

Un giorno (tutto) questo dolore ti sarà utile

No, questa non è la recensione del libro che non ho letto. Probabilmente ne ho visto l’adattamento cinematografico qualche anno fa. La trama che ho riletto pochi minuti fa su wikipedia mi sembra nota ma al momento non saprei dire se mi è piaciuto o meno. Non ricordo. Il titolo, però … accidenti che titolo!

Lo prendo in prestito, oggi, per spiegare una cosa che di tanto in tanto mi lascio sfuggire nei commenti ma che non chiarisco mai fino in fondo perchè i commenti non sono proprio il mio forte. Nella maggior parte  dei casi sono dei distillati di pensiero gettati lì a volte in forma aforistica e chissà, può essere che  li capisco solo io. Della serie: me la canto e me la suono.

Tema del giorno: il dolore e la scrittura. Mi cito da alcuni miei lapidari commenti di ieri a un post meraviglioso di la MelasBacata: Io credo che si scriva sempre a partire da un “abbandono”, a partire da un “vuoto”. La felicità e la pienezza fanno scrivere poco. Arriva poi il momento di mettere argini al dolore a costo di perdere la scrittura. Il dolore deve sedimentare, poi diventa scrittura, dopo sorriso triste e dopo ancora … semplicemente vita dietro le spalle. Per me almeno è stato così. 

Anche da Franz mi era capitato di commentare in modo simile e poi altrove ho definito “santa” la bluitudine che fa scrivere un’altra penna.

Oggi provo ad uscire dalla mia consueta stringatezza e provo a fare un passo in avanti. Parafrasando un libro che a suo tempo fece discutere io credo nella (relativa) banalità del dolore in sé. Il dolore di per sé è davvero poco interessante. Diventa interessante nel momento in cui si “trasforma” in scrittura, poesia, immagine, musica che forniscono un “” τέλος” entro cui inscrivere il tutto, un fine, una intenzionalità precisa.

Tra tutti i miei dolori (e nella vita una buona porzione viene servita proprio a tutti nella nostra privatissima notte oscura), sono affezionata a quelli che si sono fatti “corpo”, “scrittura”, quelli che si sono trasfigurati, che sono diventati altro da sè, si sono fatti “storia”. Ce ne sono stati altri infecondi, che se mi guardo indietro è come se si fossero volatilizzati lasciando nel vuoto dei perché senza risposta.

In questi giorni ho visto due bellissimi docufilm, uno su Amy Winehouse e un altro su Janis Joplin. Quante cose in comune tra loro, quanta passione, quanto dolore. Sono andate via troppo presto. Che peccato! Sono morte prima di imparare a “decantare” il dolore. Se ne sono fatte schiacciare. Peccato.


Gatto di mare (senza stivali)

Non dipingo da giorni, ormai. Ho dato uno stop quando il mio amico Raf (che se ne intende di pittura), mi ha dato un paio di dritte su come trattare le tele, prima di dipingerci sopra, e sui pennelli più adatti per gli acrilici. E che ne sapevo io che le tele vanno trattate? Io ci ho dipinto sopra così come erano, sulle tele nude e crude ma pare che non si faccia così. Ci vuole la cementite. Per la cementite abbiamo provveduto. Per i pennelli aspetto di andare in Olanda, perchè ho deciso che voglio i pennelli Van Gogh. Esisteranno i pennelli Van Gogh in Olanda o no? Nel frattempo mi sto godendo la spiaggia ecologica di Punta Prosciutto:

Punta Prosciutto 2

Punta Prosciutto

La spiaggia, completamente o quasi deserta nelle prime ore del mattino, è poesia pura e ci ha riservato tante belle sorprese: i gigli selvatici e le farfalle che ho pubblicato giorni fa, libellule strepitose:

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Libellula di Punta Prosciutto

il formicaleone:

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Formicaleone di Punta Prosciutto

e le egagropile. Sapete cosa sono, no? Le egagropile sono universalmente note!!! Io, che sono sempre in ritardo su tutto, l’ho scoperto appena poche ore fa. Chiamansi egagropile gli agglomerati sferici o ovali di colore marrone chiaro e di consistenza feltrosa costituiti da residui fibrosi di piante dei generi Posidonia e Zostera che si accumulano sui litorali, sospinti dalle onde (cliccare sui link di wikipedia per saperne di più).

Io ne ho raccolto qualcuno di questi agglomerati ed oggi pomeriggio ho dato alla luce il mio gatto di mare (senza stivali) che potete ammirare quaggiù:

Gatto di mare (senza stivali)

A mia parziale discolpa, posso solo chiamare i 40 gradi centigradi con cui conviviamo ormai da giorni, chissà se basta!!! 😉

P.S. Aggiorno giusto per lanciare una domanda che mi pongo da giorni: Com’è che spiagge così poetiche del Salento hanno nomi che fanno pensare all’Emilia Romagna?: Punta della Suina … Punta Prosciutto …