Un giorno (tutto) questo dolore ti sarà utile

No, questa non è la recensione del libro che non ho letto. Probabilmente ne ho visto l’adattamento cinematografico qualche anno fa. La trama che ho riletto pochi minuti fa su wikipedia mi sembra nota ma al momento non saprei dire se mi è piaciuto o meno. Non ricordo. Il titolo, però … accidenti che titolo!

Lo prendo in prestito, oggi, per spiegare una cosa che di tanto in tanto mi lascio sfuggire nei commenti ma che non chiarisco mai fino in fondo perchè i commenti non sono proprio il mio forte. Nella maggior parte  dei casi sono dei distillati di pensiero gettati lì a volte in forma aforistica e chissà, può essere che  li capisco solo io. Della serie: me la canto e me la suono.

Tema del giorno: il dolore e la scrittura. Mi cito da alcuni miei lapidari commenti di ieri a un post meraviglioso di la MelasBacata: Io credo che si scriva sempre a partire da un “abbandono”, a partire da un “vuoto”. La felicità e la pienezza fanno scrivere poco. Arriva poi il momento di mettere argini al dolore a costo di perdere la scrittura. Il dolore deve sedimentare, poi diventa scrittura, dopo sorriso triste e dopo ancora … semplicemente vita dietro le spalle. Per me almeno è stato così. 

Anche da Franz mi era capitato di commentare in modo simile e poi altrove ho definito “santa” la bluitudine che fa scrivere un’altra penna.

Oggi provo ad uscire dalla mia consueta stringatezza e provo a fare un passo in avanti. Parafrasando un libro che a suo tempo fece discutere io credo nella (relativa) banalità del dolore in sé. Il dolore di per sé è davvero poco interessante. Diventa interessante nel momento in cui si “trasforma” in scrittura, poesia, immagine, musica che forniscono un “” τέλος” entro cui inscrivere il tutto, un fine, una intenzionalità precisa.

Tra tutti i miei dolori (e nella vita una buona porzione viene servita proprio a tutti nella nostra privatissima notte oscura), sono affezionata a quelli che si sono fatti “corpo”, “scrittura”, quelli che si sono trasfigurati, che sono diventati altro da sè, si sono fatti “storia”. Ce ne sono stati altri infecondi, che se mi guardo indietro è come se si fossero volatilizzati lasciando nel vuoto dei perché senza risposta.

In questi giorni ho visto due bellissimi docufilm, uno su Amy Winehouse e un altro su Janis Joplin. Quante cose in comune tra loro, quanta passione, quanto dolore. Sono andate via troppo presto. Che peccato! Sono morte prima di imparare a “decantare” il dolore. Se ne sono fatte schiacciare. Peccato.


What’s up

Quando arrivava la bella stagione, in questo periodo, più o meno, si andava al bar del paese io e B, di sera. Spesso c’era musica dal vivo. C’era una ragazza brava a cantare e quando la sua voce toccava queste note, una botta di vitalità ci prendeva entrambe e B., che non conosceva il sentimento della vergogna, sfrontata e bella ma anche un po’ alticcia, si esibiva, con la sua voce stonata e malcerta, in certi spettacolini che le venivano perdonati solo perchè lei era B. Generosa, stravagante e sempre un po’ maledetta dal destino.

Quelle serate fanno ormai parte di una vita fa. Ultimamente l’alcol è stato quasi del tutto bandito dalla mia vita. Dico “quasi” perchè nei pranzi di famiglia un bicchiere qua e là lo bevo ancora perchè è vero che oramai ho dovuto fare di necessità virtù ma un sussidio in certe occasioni me lo concedo anch’io. I pranzi di famiglia sono impegnativi ed è meglio non essere sempre lucidi al cento per cento. Qualche obnubilamento può tornare utile in certe occasioni conviviali.

Da giorni non tocco pennello. Oggi mi sono divertita a mettere insieme qualcuno dei miei ritratti e quale migliore colonna sonora potevo trovare se non i mitici 4 Non Blondes per i miei ritratti come petali di rosa?

P.S. Non so se riuscirete a vederlo agevolmente. Animoto è un programma carino ma non all’altezza di moviemaker, secondo me.

Adriana!!!

Il primo anno che stavo in Sardegna, dopo appena qualche giorno che era iniziata la mia avventura sarrabese, mi imbattei in una strana donna di nome Adriana. Adriana era una collega che di primo acchito non risultava particolarmente simpatica. Ebbene sì, sembrava proprio avere la puzza sotto al naso e mai prima impressione fu più clamorosamente smentita; completamente diversa da me, non aveva mai nulla fuori posto e sfrecciava con la sua macchinetta nera in tutto il Sarrabus sempre a ritmo sostenuto, ritmo che eguagliava quello della sua lingua. Parlava Adriana, parlava, parlava. Era davvero piuttosto logorroica. Credo che appena mi conobbe, riuscì ad estorcermi tutte le informazioni personali che potette e mi squadrò da capo a piedi, era più alta di me Adriana, facendomi una vera e propria radiografia, dopo la quale io decisi e stabilii una volta e per tutte che quello sarebbe stato il mio primo e ultimo contatto con una persona del genere, No, no, Adriana ed io eravamo del tutto incompatibili. Non c’era da avere alcun dubbio su questo. Inutile dire che mi sbagliavo su tutti i fronti. Io avevo ritmi tutti miei e tutti strani per una come Adriana. Ero giovane e avevo tutta la vita davanti, le mie giornate non duravano ventiquattro ore come quelle degli altri ma duravano di più, molto di più. Ero giovane, sola in terra straniera, felice della mia nuova indipendenza economica e della casetta che mi ero trovata vicino a scuola, vicina vicina così che in un balzo solo passavo dall’ultima lezione che finiva a mezzanotte (insegnavo in un serale) al lettone a soli duecento metri. La mattina poi, che ero libera, la passavo a scoprire ogni angolo del paradiso dove avevo avuto la ventura di finire. Quando il paese fu tutto scoperto cominciai a fare dei giri più larghi e i “giardini” mi iniziarono alla magia delle zagare in fiore che rilasciavano un profumo così intenso che se solo ci penso un attimo mi sembra di risentirlo anche da qui, ora, a distanza di tanto tempo. Che tempo quello!!! Ma sto divagando. Magari ci tornerò in un altro momento a quei tempi che tanto ne avrei da raccontare. Ora fatemi tornare ad Adriana. Adriana si insinuò piano piano nella mia vita, ché io sono un po’ schiva. Mi prese sotto la sua ala protettiva e più volte si offrì di accompagnarmi a fare la spesa. E’ vero che ero giovane ma portarsi le casse d’acqua a mano inerpicandosi su per la salita di casa mia era davvero impresa piuttosto ardua per cui piano piano cominciai a cederle terreno e tra una spesa e l’altra, un caffè e l’altro e qualche giratina sulla costa attorno al paese, cominciò la nostra bella amicizia. Un giorno Adriana mi chiese: Ma tu, la patente ce l’hai? E alla mia risposta affermativa decise  in modo incontrovertibile che era arrivato il momento per me di comprarmi una macchina. Io inizialmente mi schernii Ma no!!! Ma che me ne faccio di una macchina? A che mi serve? Io me la cavo anche così. E poi sì è vero che la patente ce l’ho ma non mi ricordo neanche come si mette in moto una macchina. Le ci volle mezzora circa per sfoderare almeno duemilaecinquecento motivi per cui era davvero giunta l’ora di comprare una macchina. Inutile dire che il giorno dopo eravamo già in concessionaria a perfezionare un acquisto di una Polo Fox di seconda mano, usato garantito dal concessionario amico intimo di Adriana. E fu così che, disbrigate le pratiche formali, in men che non si dica mi ritrovai con una Polo Fox tra le mani. Ora il punto è che io avevo una fottutissima paura nel guidare. Mi sembrava che non avrei mai potuto avere il controllo vero e pieno di questa volpe che mi portava in giro e cominciavo a pensare di avere fatto un errore colossale a comprare questa cosa qui che mi metteva tanta paura. Adriana, però, che aveva sempre una risposta per tutto mi comprò una bella P grande grande che mi aiutò ad esporre sul vetro posteriore della Polo. Ecco, mi disse … ora non hai più niente da temere. Da questo momento lo sapranno tutti che sei una principiante, staranno accorti gli altri. Tu non preoccuparti. Vedrai che in men che non si dica sfreccerai in tutto il Sarrabus più veloce di me. Quanto si sbagliava in questo!

Cinque anni dopo uno studente così ex abrupto un giorno mi disse: Prof, gliela posso fare una domanda? Come no?, risposi, dimmi. Prof, sono cinque anni ormai che ci conosciamo, siamo vicini al diploma … ma com’è che lei è sempre una P? Inizialmente feci un po’ fatica a capire di che cosa stava parlando. Poi focalizzai l’enorme P di Adriana sul retro della mia Polo e accennai un mezzo sorriso per tutta risposta. Non so se risposi anche a parole. Non me lo ricordo.

So che, tornata a casa, passai tutto il pomeriggio a togliere questo enorme adesivo dalla mia Polo. Non si può essere principianti a vita!!! 😉

P.S. Adriana io l’ho persa ma prima o poi la ricerco, mi sa.

C’è tempo …

Avevo giurato che non l’avrei fatto e invece, ancora una volta, per la seconda volta in questo blog mi “autocito”. Il video che posto l’ho montato qualche anno fa quando questa canzone che amo profondamente riusciva a ferirmi altrettanto profondamente. Nel video questa splendida canzone di Fossati è accompagnata dalle immagini di un grandissimo pittore e di un uomo ancora più grande: Enzo De Giorgi che ho avuto la fortuna di incrociare nella mia vita e che all’epoca mi consentì di utilizzare alcune delle sue immagini ad accompagnare la poesia di Fossati. Spero che vi piaccia.

Variazioni sul tema

4 agosto 2014 Mole Vanvitelliana di Ancona: splendida serata e splendido scenario per un concerto di Eugenio Finardi. Non c’era tantissimo pubblico ma c’era un pubblico magnifico. Lui è stato generoso come solo i grandi sanno essere. Le abbiamo cantate tutte le sue canzoni, dalle più popolari alle più intimiste. E naturalmente “La Radio” non è mancata.

P.S. Controcorrente, profondo e bravo. Adorabile.