Galosce selvagge??? Ma anche no …

Il viaggio in Olanda è finito. Uno dei viaggi più belli della mia vita. I bagagli sono stati disfatti ma io sono ancora piena di viaggio. Nei prossimi giorni qualcosa ne scriverò, forse, e posterò qualche foto. Per adesso vi lascio un video mio di qualche anno fa. Le galosce selvagge che non sono servite affatto. Il tempo è stato a dir poco splendido.

Una giornata al mare … di Pesaro

E con Pesaro sono riuscita a chiudere (forse) un po’ tutte le città delle Marche. Tu dicevi che era una gran brutta città Pesaro ma, invece, a me è piaciuta. Mi è piaciuto posare lo sguardo dove sarà capitato anche a te di posare il tuo. Per tutto il giorno ho avuto l’impressione che a camminare accanto a me e al compagno ci fosse anche il tuo basco, quello che avevi in testa in quella gelida sera d’inverno in cui sono riuscita a trascinarti al cinema. No, il cinema no … dicevi. E’ troppo intenso. Mi fa male. Vedemmo Giorni e Nuvole con Margherita Buy e Antonio Albanese. Solo grazie a questa visione posso dire con certezza che era il 2007, io molto a fatica ricordo le date e posso dire che era il 2007 perchè sono andata or ora a controllare. Sono passati già da dieci anni e sembra ieri, al cuore. Quando Anna mi ha detto che eri partito per sempre, non ci volevo credere. Pensavo che l’avesse detto solo per ferirmi. Ne ho cercato conferma che mai avrei voluto trovare. Te ne sei andato senza salutare. Mi hai lasciato qualche ricordo e il tuo basco che oggi mi ha tenuto compagnia.

Il passo e l’incanto

Il riconoscersi

fu semplice.

Ti corse accanto al passo

ad onda

e a tratti un po’ malcerto

una banderuola di maestrale gonfia

che a mò di balaustra

ti accompagnò alla destra.

Alla sinistra del mio, di passo,

la stessa banderuola

guardò la falda del cappello

che mi rimase accartocciata

nello zaino semiaperto

dove avevo nascosto

il nostro segno di riconoscimento

di cui non ci fu bisogno alcuno.

Ed io che non amo tanto i versi

mi dico

in questa notte dilatata

che l’avrei riconosciuto

tra mille

il passo

che t’ho osservato

per tutto il giorno.

C’è una certa piega

che il tuo piede sinistro

prende

a tratti

una piega verso il dentro

verso il tuo piede destro

e lì

ho temuto che

potessi inciampare

a momenti.

In quella piega

mi è sembrato

di intravedere

poesia.

E mi dico

in questo notturno di te

che forse in certi passi

e incanti

si nasconde

il senso

del nostro claudicante

incedere

nella fatica di questo nostro

vivere.

Ancona, 12 agosto 2017 (h. 2.30 del mattino)

P.S. Prosa lirica nella forma di (quasi)versi a scandire le pause  e il respiro del cuore notturno. Non riesco a immaginare niente di meglio che la canzone che segue come accompagnamento ai miei (quasi)versi notturni.

Un giorno (tutto) questo dolore ti sarà utile

No, questa non è la recensione del libro che non ho letto. Probabilmente ne ho visto l’adattamento cinematografico qualche anno fa. La trama che ho riletto pochi minuti fa su wikipedia mi sembra nota ma al momento non saprei dire se mi è piaciuto o meno. Non ricordo. Il titolo, però … accidenti che titolo!

Lo prendo in prestito, oggi, per spiegare una cosa che di tanto in tanto mi lascio sfuggire nei commenti ma che non chiarisco mai fino in fondo perchè i commenti non sono proprio il mio forte. Nella maggior parte  dei casi sono dei distillati di pensiero gettati lì a volte in forma aforistica e chissà, può essere che  li capisco solo io. Della serie: me la canto e me la suono.

Tema del giorno: il dolore e la scrittura. Mi cito da alcuni miei lapidari commenti di ieri a un post meraviglioso di la MelasBacata: Io credo che si scriva sempre a partire da un “abbandono”, a partire da un “vuoto”. La felicità e la pienezza fanno scrivere poco. Arriva poi il momento di mettere argini al dolore a costo di perdere la scrittura. Il dolore deve sedimentare, poi diventa scrittura, dopo sorriso triste e dopo ancora … semplicemente vita dietro le spalle. Per me almeno è stato così. 

Anche da Franz mi era capitato di commentare in modo simile e poi altrove ho definito “santa” la bluitudine che fa scrivere un’altra penna.

Oggi provo ad uscire dalla mia consueta stringatezza e provo a fare un passo in avanti. Parafrasando un libro che a suo tempo fece discutere io credo nella (relativa) banalità del dolore in sé. Il dolore di per sé è davvero poco interessante. Diventa interessante nel momento in cui si “trasforma” in scrittura, poesia, immagine, musica che forniscono un “” τέλος” entro cui inscrivere il tutto, un fine, una intenzionalità precisa.

Tra tutti i miei dolori (e nella vita una buona porzione viene servita proprio a tutti nella nostra privatissima notte oscura), sono affezionata a quelli che si sono fatti “corpo”, “scrittura”, quelli che si sono trasfigurati, che sono diventati altro da sè, si sono fatti “storia”. Ce ne sono stati altri infecondi, che se mi guardo indietro è come se si fossero volatilizzati lasciando nel vuoto dei perché senza risposta.

In questi giorni ho visto due bellissimi docufilm, uno su Amy Winehouse e un altro su Janis Joplin. Quante cose in comune tra loro, quanta passione, quanto dolore. Sono andate via troppo presto. Che peccato! Sono morte prima di imparare a “decantare” il dolore. Se ne sono fatte schiacciare. Peccato.


Frammento 2. Mendoza

Nei giardini di Mendoza passammo ore spalmando dulce de leche su cracker salati. Quando sulle nostre parole scese la sera, bevemmo del vino bianco e ghiacciato sotto una luna bruna. Poi, sferragliando, il treno arrivò al capolinea. Io scesi, confondendomi tra i tanti passanti.

P.S. Il post è solo un pre-testo per introdurre una tra le canzoni più belle di Paolo Conte.