Di certi posti … davanti al mare

Ispirata da uno dei più bei murales di Muravera stamattina è nato un altro suonatore di launeddas. Non c’erano murales a Muravera fino agli anni 2000. Poi non so chi si inventò un concorso in occasione, credo, della Sagra degli Agrumi, che ivi si tiene agli inizi di aprile. Da quel momento il paese cominciò a colorarsi e credo che, dopo la mia partenza, i murales siano considerevolmente aumentati. Uno dei primi murales è il suonatore di launeddas che stamattina ho riprodotto a modo mio. Inutile dire che questo suonatore mi ricompone in parte, ricompone le mie vite in qualche modo e  mi ricollega alla mia gente di Sardegna, quella che è rimasta lì e quella che è partita per il suo lungo viaggio. Chissà se qualcuno di là dal mare penserà a me in questi giorni … credo di sì. In fondo tanto ho preso ma qualcosa di buono credo anche di averla lasciata lì.

launeddas

Launeddas

Allora copi!

Ieri a scuola ho parlato con una mia collega di questo nuovo hobby di pittura su pietra. Lei mi ha chiesto maggiori ragguagli e le ho raccontato di quest’ultima serie di soggetti sardi. Le ho raccontato del mio incontro con Paolo Laconi e di come in questi giorni sto tentando di riprodurre su pietra alcune delle sue immagini. Lei si è fatta una risatina sarcastica e mi ha detto testualmente: Allora copi. Non vale.  Ho tentato una replica del tipo: Ma no, è diverso il materiale. Un conto è la tela, un conto è una pietra e poi …. Lei ha chiuso la questione ribadendo: No, no … non vale. Copi.

Pensando ai miei  “Fichi d’India” di cui sono tanto fiera mi sono sentita un po’ ferita. Cazzo, non vale … copio. Ed è così che ieri sera è nata la mia “Pescatrice di sogni” e oggi “Il velo de sa sposa”. Interamente mie le idee, autorizzo Paolo Laconi se  dovessero piacergli a usarle su tela.

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Svirgola’s Pescatrice di sogni

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Svirgola’s Il velo de sa sposa

P.S. “Sa sposa” o “Su sposu” in sardo è un modo affettuoso e tenero di rivolgersi a una persona a cui si vuole bene, indipendentemente dal legame coniugale. E’ un’espressione bellissima. 🙂

Ichnusa

Non è la mia terra natale ma è terra che mi ha accolto, che mi ha amato essendone riamata come solo una madre di elezione può essere. L’ho scelta. Sono diventata grande sull’isola. Ho amato, ho odiato, ho lavorato, ne ho assaggiato i gusti tutti. Da quelli delicati a quelli forti. Aspra terra, fiera e selvaggia. Bellissima. Quando nei giorni scorsi sono incappata nei quadri del pittore cagliaritano Paolo Laconi ne sono rimasta folgorata e ho deciso di cercare di riprodurre alcune delle sue immagini su pietra. E quello sto facendo in questi giorni, con grande soddisfazione oltretutto. Se pensate che fino a pochi mesi fa non avevo mai dipinto alcunché, capirete la gratificazione che le mie piccole opere mi stanno dando. Perchè darvene conto ora dopo ora? Per narcisismo, per dare spazio a un io ipertrofico? Non credo. E’ che questo passatempo in questo blog è nato e sta crescendo, anche sulla scorta degli incoraggiamenti che qui ho ricevuto. E quindi mi piace condividerlo con voi.

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Svirgola’s Pastore Sardo Bis

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P.S. Se Paolo Laconi lo avessi incontrato un po’ prima, il mio presepe sarebbe stato un presepe sardo. Magari l’anno prossimo … chissà! 😉

Bentu ‘e makighine

Tanti anni fa quando vivevo in Sardegna e qualcuno mi chiedeva: “Non hai nostalgia della tua terra?”, io asserivo categoricamente di non conoscere il sentimento della nostalgia e ne ero profondamente convinta. Anni dopo la mia stessa carne mi avrebbe clamorosamente smentita quando nel giro di un anno il corpo stesso mi impose il ritorno, senza che io capissi fino in fondo che cosa stava succedendo. Solo a distanza di tempo mi sembrò di capirne le ragioni. Oggi la nostalgia parla attraverso le mie pietre. Esiste il mal di Sardegna come esiste il mal d’Africa. Sarà per via del suo Bentu ‘e makighine o di chissà cos’altro ma la Sardegna è terra dove si vuole sempre tornare.

Completamente in preda alla nostalgia stamattina, più o meno liberamente ispirata dalle opere del pittore sardo Paolo Laconi, ho disegnato il mio pastore sardo su pietra che a me piace tanto.

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Svirgola’s Pastore Sardo

Svirgola’s Mamuthone

Dalle matrioske ai mamuthones il passo è stato breve. Credo che a spingermi la mano oggi sia stata la nostalgia. Dalla pavoncella al mamuthone … il mio piccolo capolavoro su pietra. Bellissimo per me. Quanti ne ho visti sfilare con i loro campanacci, alla sagra degli agrumi di Muravera e alla festa di Sant’Efisio a Cagliari. Mi mancano i mamuthones. Mi mancano …

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Adriana!!!

Il primo anno che stavo in Sardegna, dopo appena qualche giorno che era iniziata la mia avventura sarrabese, mi imbattei in una strana donna di nome Adriana. Adriana era una collega che di primo acchito non risultava particolarmente simpatica. Ebbene sì, sembrava proprio avere la puzza sotto al naso e mai prima impressione fu più clamorosamente smentita; completamente diversa da me, non aveva mai nulla fuori posto e sfrecciava con la sua macchinetta nera in tutto il Sarrabus sempre a ritmo sostenuto, ritmo che eguagliava quello della sua lingua. Parlava Adriana, parlava, parlava. Era davvero piuttosto logorroica. Credo che appena mi conobbe, riuscì ad estorcermi tutte le informazioni personali che potette e mi squadrò da capo a piedi, era più alta di me Adriana, facendomi una vera e propria radiografia, dopo la quale io decisi e stabilii una volta e per tutte che quello sarebbe stato il mio primo e ultimo contatto con una persona del genere, No, no, Adriana ed io eravamo del tutto incompatibili. Non c’era da avere alcun dubbio su questo. Inutile dire che mi sbagliavo su tutti i fronti. Io avevo ritmi tutti miei e tutti strani per una come Adriana. Ero giovane e avevo tutta la vita davanti, le mie giornate non duravano ventiquattro ore come quelle degli altri ma duravano di più, molto di più. Ero giovane, sola in terra straniera, felice della mia nuova indipendenza economica e della casetta che mi ero trovata vicino a scuola, vicina vicina così che in un balzo solo passavo dall’ultima lezione che finiva a mezzanotte (insegnavo in un serale) al lettone a soli duecento metri. La mattina poi, che ero libera, la passavo a scoprire ogni angolo del paradiso dove avevo avuto la ventura di finire. Quando il paese fu tutto scoperto cominciai a fare dei giri più larghi e i “giardini” mi iniziarono alla magia delle zagare in fiore che rilasciavano un profumo così intenso che se solo ci penso un attimo mi sembra di risentirlo anche da qui, ora, a distanza di tanto tempo. Che tempo quello!!! Ma sto divagando. Magari ci tornerò in un altro momento a quei tempi che tanto ne avrei da raccontare. Ora fatemi tornare ad Adriana. Adriana si insinuò piano piano nella mia vita, ché io sono un po’ schiva. Mi prese sotto la sua ala protettiva e più volte si offrì di accompagnarmi a fare la spesa. E’ vero che ero giovane ma portarsi le casse d’acqua a mano inerpicandosi su per la salita di casa mia era davvero impresa piuttosto ardua per cui piano piano cominciai a cederle terreno e tra una spesa e l’altra, un caffè e l’altro e qualche giratina sulla costa attorno al paese, cominciò la nostra bella amicizia. Un giorno Adriana mi chiese: Ma tu, la patente ce l’hai? E alla mia risposta affermativa decise  in modo incontrovertibile che era arrivato il momento per me di comprarmi una macchina. Io inizialmente mi schernii Ma no!!! Ma che me ne faccio di una macchina? A che mi serve? Io me la cavo anche così. E poi sì è vero che la patente ce l’ho ma non mi ricordo neanche come si mette in moto una macchina. Le ci volle mezzora circa per sfoderare almeno duemilaecinquecento motivi per cui era davvero giunta l’ora di comprare una macchina. Inutile dire che il giorno dopo eravamo già in concessionaria a perfezionare un acquisto di una Polo Fox di seconda mano, usato garantito dal concessionario amico intimo di Adriana. E fu così che, disbrigate le pratiche formali, in men che non si dica mi ritrovai con una Polo Fox tra le mani. Ora il punto è che io avevo una fottutissima paura nel guidare. Mi sembrava che non avrei mai potuto avere il controllo vero e pieno di questa volpe che mi portava in giro e cominciavo a pensare di avere fatto un errore colossale a comprare questa cosa qui che mi metteva tanta paura. Adriana, però, che aveva sempre una risposta per tutto mi comprò una bella P grande grande che mi aiutò ad esporre sul vetro posteriore della Polo. Ecco, mi disse … ora non hai più niente da temere. Da questo momento lo sapranno tutti che sei una principiante, staranno accorti gli altri. Tu non preoccuparti. Vedrai che in men che non si dica sfreccerai in tutto il Sarrabus più veloce di me. Quanto si sbagliava in questo!

Cinque anni dopo uno studente così ex abrupto un giorno mi disse: Prof, gliela posso fare una domanda? Come no?, risposi, dimmi. Prof, sono cinque anni ormai che ci conosciamo, siamo vicini al diploma … ma com’è che lei è sempre una P? Inizialmente feci un po’ fatica a capire di che cosa stava parlando. Poi focalizzai l’enorme P di Adriana sul retro della mia Polo e accennai un mezzo sorriso per tutta risposta. Non so se risposi anche a parole. Non me lo ricordo.

So che, tornata a casa, passai tutto il pomeriggio a togliere questo enorme adesivo dalla mia Polo. Non si può essere principianti a vita!!! 😉

P.S. Adriana io l’ho persa ma prima o poi la ricerco, mi sa.

Porto Cesareo e …

Sono dovuta andarci a fare una commissione che non potevo più rinviare. Porto Cesareo, a cinque chilometri da casa mia, mi si è presentato con questi colori. Potevo non fare qualche scatto?

Oggi è stata una giornata molto triste. Abbiamo perduto uno studente in un incidente stradale. Alle undici abbiamo osservato un minuto di silenzio durante il quale ho faticato a trattenere le lacrime. Subito appresso nel cortile della scuola i ragazzi hanno formato un grande cerchio e nel silenzio più assoluto hanno ricordato il compagno. Non so se qualcuno ha detto qualcosa. Io mi sono tenuta un po’ a distanza. Poi è partito un applauso che è risuonato dentro ognuno di noi come un grande boato.

Avevano facce sgomente, incredule i miei studenti. Ho dovuto inforcare gli occhiali da sole. Avrei avuto bisogno io di conforto ma i più piccoli sono loro. Li dovremo sostenere un po’ di più d’ora in poi. Da oggi sono un po’ più fragili. Mi è costato fatica tenere il controllo in tutta l’ora successiva. E guidando verso casa, al rientro, ho finalmente pianto.  Questo episodio si è innestato su altri ricordi ed è stata una deflagrazione. Ho pianto su altre morti, su altri studenti. Non se ne dovrebbero andare mai prima di noi e invece succede. Io ne ho persi tre al momento e li piango periodicamente. Sono adulta ma non mi rassegno ancora a certe perdite. Non riesco a farmene una ragione. Oggi sarebbe dovuta essere una giornata di festa per noi tutti. E’ San Martino. Qui da noi in più o meno tutte le case ci si riunisce a cena e si gozzoviglia  a cime di rapa, carne arrosto, castagne e vino novello. La cena di San Martino ha quasi la stessa importanza del cenone di San Silvestro. Forse è ancora una festa più bella, senza i lustrini di fine d’anno. Da quest’anno San Martino ci riporterà anche questa nota amara. E un bicchiere di vino in più lo berremo pensando a questa ennesima perdita.

P.S. E’ da quattro mesi che non tocco una sola goccia di alcol ma stasera una bottiglia io la stappo. E’ deciso.