Pensavo all’effetto straniante che fa il passato remoto se riferito al “vicino”. Mi piace ma è un po’ come mettere “distanza”, un allontanarsi dal prossimo così ben definito, quasi un mettere un alone attorno alle cose, sfocare, uscire dalla nettezza delle cose e dare loro una dimensione più onirica. Il passato remoto, forse, è anche il tempo della nostalgia, è un bere al calice dolce-amaro del dolore del ritorno. E quanto ci ho bevuto io a quel calice! Quanto!
Per me adesso è il tempo del presente, del passato prossimo al più. Mi piace tenermele addosso le cose della vita, così nette, tanto violente talora, con tutti i loro colori, messi a fuoco bene, quasi impressi nella mia carne. Mi crocifiggo al presente, ora. E’ così.
Per me quello non è un calice, ma un pozzo senza fondo. P.S. Sei caduta anche tu nella rete del mio conterraneo dall’occhio languido? 😉
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Di Samuele dici? No, ci sono due o tre delle sue canzoni che mi piacciono davvero tanto. Questa è una di quelle. Sul “calice” glisso.
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Sul “pozzo”
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